Posta all’estremità nord-orientale dell’Italia, Trieste è città portuale di frontiera, cosmopolita e dal sapore agrodolce, ricca di cultura ma anche di contrasti. È questa un’atmosfera che noi due conosciamo bene, perché Trieste è il luogo dove siamo nati e cresciuti, e in cui viviamo tutt’oggi. E, in quanto triestini, abbiamo piacere di raccontare in quest’articolo un piccolo scorcio della vecchia Trieste. Scegliamo così di proporre due brevi excursus, uno sulla ricetta tradizionale della Jota triestina e uno sulla figura del musicista Antonio Illersberg.
Un quadro d’insieme della vecchia Trieste
Certo, come scrive Saba Trieste può apparire scontrosa e aspra, date le sue travagliate vicende storiche. Ma nel profondo è da sempre un armonioso equilibrio multiculturale, fatto di arte e tradizioni eterogenee. Quello in cui opera Illersberg e nel quale si formalizzano le ricette della Jota è dunque un panorama storico complesso, che merita sicuramente un accenno.
Le vicende storiche del primo Novecento
La prima metà del XX secolo è infatti per la vecchia Trieste, ancor più che per l’Italia e l’Europa, un periodo turbolento di profondi e continui cambiamenti.
I momenti cruciali di maggior rilievo storico e culturale si possono così riassumere:
- Primo è il passaggio dal dominio austriaco a quello italiano, che avviene ufficialmente nel 1920, poco dopo la conclusione della Prima Guerra Mondiale.
- Seguono gli anni tra le due guerre, fin troppo noti per i loro sviluppi politici squisitamente italiani.
- Dal 1943 al 1945 Trieste è poi soggetta all’occupazione nazista, durante la quale la Risiera di San Sabba viene convertita in campo di concentramento.
- Al termine della Seconda Guerra Mondiale la città è occupata prima dai parigiani jugoslavi di Tito e poi, dopo breve tempo, dal Governo Militare Alleato.
- Nel 1947 il litorale triestino diviene Territorio Libero di Trieste, in attesa della creazione degli organi costituzionali del nuovo Stato.
- Seguono anni di subbugli politici e rivolte sociali.
- Finalmente, il 4 novembre 1954 Trieste ritorna all’Italia.
Ma, aldilà degli sviluppi politici, la sfaccettata convergenza di molteplici etnie e flussi culturali si riverbera nella quotidianità triestina anche sotto il profilo culinario.
La tradizione gastronomica della vecchia Trieste
Accanto a quella del caffè, la Trieste del primo Novecento presenta dunque una ricca ed estremamente varia tradizione gastronomica. Le antiche ricette vengono inoltre raccolte e tramandate dalle famiglie triestine in quadernetti dedicati, così da giungere fino ai nostri giorni.
Tra i piatti e i dolci tipici triestini troviamo quindi:
- Caldaia: piatto di bollito misto, il cui pezzo principale è la porzina, ovvero coppa di maiale bollita.
- Chifeletti: frittelline di patate a forma di ferro di cavallo.
- Parsuto coto in crosta: prosciutto cotto intero fatto al forno in crosta di pane.
- Gnochi de susini: gnocchi di patate con all’interno una susina.
- Patate in tecia: patate lesse fatte al tegame con abbondante cipolla e generosa pancetta.
- Presnitz: pasta sfoglia arrotolata con un ripieno principalmente a base di noci, mandorle, pinoli, cioccolata grattugiata e rum.
- Putiza: dolce costituito da pasta sfoglia arrotolata con dentro un ripieno a base di frutta secca.
- Sardoni in savor: pesci simili alle alici, originari della riviera adriatica triestina, fritti e poi coperti da cipolle stufate in vino bianco e aceto bianco.
- Strucolo de pomi: strudel di mele.
- Suff: polenta morbida con aggiunta di latte.
- E, naturalmente, la Jota triestina: minestra con patate, fagioli, cavolo cappuccio e carne.
La Jota della vecchia Trieste: l’antica ricetta che usiamo tutt’oggi
Una delle ricette più rappresentative della tavola triestina è infatti proprio la Jota. Un tempo diffuso in tutto il Friuli-Venezia Giulia, questo piatto è oggi principalmente conosciuto nella sua variante tipicamente triestina.
Capuzi garbi e luganighe de Cragno
Per poter parlare della Jota in quanto ricetta fatta e finita bisogna dare un rapido sguardo agli elementi caratteristici che la compongono:
- I capuzi garbi. Questa lavorazione giunge a noi dai tempi di Carlo Magno, orgoglio e vanto che i triestini elaborano nel tempo. Sono proprio i capuzi garbi, da non confondere con la brovada friulana ed altre preparazioni di stampo germanico-austriaco, a costituire la base della Jota triestina.
- Le luganighe de Cragno. Per i triestini è letteralmente la salsiccia degli sloveni, originaria dell’antica Carniola. Consiste in carne di maiale e manzo in grana grossa insaccata in budello naturale, leggermente affumicata.
Come le migliori ricette, dunque, la Jota non va soltanto gustata ma anche capita in tutte le sue parti. E, altrettanto interessante, è conoscere la sua storia.
Le sue origini
Il primo documento che testimonia l’esistenza della Jota risale al XV secolo ed è conservato a Cividale del Friuli. La sua genesi è dunque antichissima, così come antica è l’etimologia del termine Jota, la cui radice ha origini controverse. Pare che quest’ultima possa derivare da un suffisso celtico poi ripreso dal tardo latino jutta, che significa brodaglia. Un’altra ipotesi è che derivi da yot, termine cimbro di derivazione germanica diffuso anche in Veneto e Trentino. In ogni caso, sappiamo per certo che queste antiche declinazioni della Jota consistono tutte in una sorta di sostanziosa minestra.
Con la scoperta delle Americhe e la conseguente introduzione in Europa della patata, la Jota conosce infine la sua versione definitiva. La ricetta odierna, anche se di fatto formalizzata nei quadernetti della vecchia Trieste del primo Novecento, può dunque vantare una storia lunga di secoli.
La ricetta tradizionale della Jota triestina
Come accennato, la Jota ha quale elemento base i capuzi garbi, che devono essere preparati preventivamente per venire poi incorporati durante la cottura della minestra.
I capuzi garbi
Prima di riportare la ricetta completa della Jota è quindi utile conoscere come prepararli.
Dosi:
- 1 kg di crauti al naturale
- Olio e.v.o. q.b.
- 1 noce di strutto
- 1 cipolla
- 1 cucchiaio di farina
- Salsicce o luganighe de Cragno in quantità desiderata
Preparazione:
- In una pentola far soffriggere la cipolla a julienne in olio e strutto.
- Una volta dorata aggiungere un cucchiaio di farina, mescolare per bene e lasciar imbiondire.
- Nel frattempo togliere la salamoia ai crauti senza però lavarli.
- Aggiungerli poi al soffritto, rimestare il tutto per qualche minuto e coprirli d’acqua.
- Lasciarli bollire a lungo, almeno due ore, fino a farli imbrunire totalmente.
- Se necessario, aggiungere altra acqua affinché i crauti non si attacchino sul fondo.
- Aggiungere quindi le salsicce e cuocere il tutto ancora per mezz’ora.
- A fine cottura i crauti devono risultare amalgamati, né tanto asciutti né troppo liquidi.
La Jota
Pronti i capuzi garbi, possiamo lasciarli un momento da parte per procedere con la ricetta vera e propria della Jota.
Dosi:
- 1 kg di capuzi garbi
- 800 gr di fagioli borlotti secchi
- 4 patate
- 1 foglia di alloro
- 1 spicchio d’aglio
- 3 costine affumicate di maiale
- 50 gr di olio e.v.o
- 50 gr di farina
Preparazione:
- Mettere a bollire in una pentola i fagioli, precedentemente lasciati a mollo in acqua non salata per 12 ore, assieme alle patate tagliate a cubettoni.
- In cottura aggiungere la foglia di alloro.
- Una volta cotto il tutto, passare o frullare a fuoco spento metà delle patate e dei fagioli.
- Reincorporare la parte frullata al resto della preparazione e rimettere sul fuoco.
- Aggiungere le costine e lasciare cuocere a fuoco lento per un’altra mezz’ora.
- Unire a questo punto i capuzi garbi, avendo cura di amalgamare bene il tutto, e chiudere il fuoco.
- Tritare l’aglio e a parte soffriggerlo in padella con l’olio.
- Aggiungere la farina al soffritto e mescolare per ottenere un composto omogeneo.
- Incorporare tale composto alla Jota, mescolare e servire!
Accanto all’aspetto gastronomico, nella vecchia Trieste si sviluppa in maniera considerevole anche l’ambito artistico. Trieste è infatti la città dello splendore mitteleuropeo, di grandi scrittori e pittori, della Musica, dell’Operetta e di valenti compositori, tra i quali spicca Antonio Illersberg.
Antonio Illersberg, compositore autenticamente triestino
Stimato didatta, compositore e direttore di coro, Illersberg è considerato uno degli esponenti più illustri della scuola compositiva triestina. Malgrado ciò, rimane un autore la cui fama è limitata a livello squisitamente locale, e la cui musica viene raramente eseguita in sede di concerto. Quest’ultima è tuttavia capace di restituire le atmosfere e il gusto dei salotti e dei teatri della vecchia Trieste di primo Novecento.
Cenni biografici
- Antonio Illersberg nasce a Trieste il 16 settembre 1882.
- Rimane orfano in tenera età e viene affidato alla Pia Casa dei Poveri, dove impara a suonare diversi strumenti e compone piccoli pezzi per banda.
- Quattordicenne, viene incoraggiato del Podestà Ferdinando Pitteri a intraprendere gli studi musicali sotto la guida di Giuseppe Rota, direttore della Cappella Civica di Trieste.
- Prosegue poi la propria formazione nelle classi di Luigi Torchi e Giuseppe Martucci presso il Liceo Musicale di Bologna, dove è compagno di Ottorino Respighi.
- Consegue il diploma nel 1902.
- In qualità di violista suona nel quartetto d’archi della Marina Militare Austriaca di stanza a Pola, nella quale presta servizio dal 1904 al 1907.
- Nel 1907 ottiene la cattedra di Armonia e Composizione presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Trieste.
- Mantiene l’insegnamento al Conservatorio di Trieste, fusosi nel 1932 con il Tartini, fino alle soglie degli anni Cinquanta.
- Muore a Trieste il 21 giugno 1953.
Impegno didattico e stile compositivo
Prolifico compositore e uomo di grande cultura, Illersberg si dedica incessantemente anche all’attività di docente. Tra i suoi allievi figurano personalità quali Valdo Medicus, Eugenio Visnovitz, Mario Bugamelli, Giuseppe Radole, Giulio Viozzi e Luigi Dallapiccola. I quali, grazie al loro maestro, hanno la possibilità di affacciarsi alle novità stilistiche delle avanguardie musicali di primo Novecento. Illersberg si mostra infatti sempre attento ed informato nei confronti della musica a lui contemporanea, benché il suo stile rimanga indissolubilmente legato al tardoromanticismo tonale.
Possiamo qui citare tre dei suoi maggiori lavori:
- Il Trittico, opera in tre atti su libretto in dialetto triestino di Morello Torrespini. I suoi tre episodi, Carneval, Nadal, e La strada e le stele descrivono uno spaccato di vita della vecchia Trieste dell’Ottocento.
- La Sinfonia n.1 in si bemolle maggiore.
- Il Concerto per violino e orchestra.
Si occupa inoltre di revisionare e trascrivere diversi brani di musica antica, soprattutto composizioni italiane del Sei e Settecento. E, sotto lo pseudonimo di Montilario, ovvero il suo cognome tedesco tradotto in italiano, compone egli stesso musiche in stile antico.
Ma il più grande impegno compositivo di Illersberg riguarda certamente il campo della musica corale, cui dedica diversi lavori sia sacri che profani. Basti pensare che è uno dei primi compositori in Italia ad elaborare temi popolari per coro a voci miste e virili.
L’attività corale nella vecchia Trieste degli anni Venti e Trenta
All’insegnamento, Illersberg affianca così un’intensa attività di direttore di coro:
- Debutta dirigendo il Coro Airone, il quale diviene nel 1925 la Società Corale Claudio Monteverdi.
- Nel 1931 fonda il Coro Madrigalesco Triestino.
- Tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta è alla guida del Coro della Comunità Greco-ortodossa.
- Nel 1934 assume la direzione della Scuola Corale del dopolavoro ACEGAT, il cui coro è composto da novanta elementi.
Piccola curiosità, in suo onore viene fondato a Trieste nel 1962 il Coro virile Antonio Illersberg, il cui repertorio spazia dalla polifonia sacra alla musica popolare.
Fonti
[…] corsaro, opera in 3 atti su libretto di Francesco Maria Piave, Trieste, Teatro Grande, 25 ottobre […]
[…] Andiamo quindi ad esplorare come la cultura del caffè s’intrecci con la storia di Trieste e con l’espressione artistica di Johann Sebastian […]
[…] Wieden di Vienna. Successivamente è rappresentata a Brünn, Praga, Francoforte, Graz, Trieste, ancora Vienna e, nel 1814, a Linz, per scomparire poi dalle scene sino ai giorni […]
[…] – Consolle dell’organo Kauffmann situato all’interno del Duomo di Santo Stefano / Trieste – Registri dell’organo Mascioni situato all’interno della Chiesa di Santa […]